
ARTICOLO / 2 SETTEMBRE 2025
Integrating legacy and modern apps: la leva strategica per un'innovazione efficiente
Le architetture applicative delle imprese moderne sono sempre più ibride: ai sistemi legacy — spesso basati su piattaforme consolidate come IBM i/AS400 — si affiancano applicazioni cloud-native, mobile e sviluppate a microservizi. Questa eterogeneità genera la necessità di un’integrazione efficace tra mondi tecnologici diversi.
Per garantire continuità operativa, coordinamento dei processi e valorizzazione del dato, diventa cruciale costruire un ecosistema in cui back-end storici e front-end moderni possano dialogare attraverso interfacce flessibili e API. Solo così è possibile sfruttare il valore dei sistemi esistenti, accelerando al contempo l’adozione di nuove soluzioni digitali.
Questo articolo esplora le sfide e le opportunità di questa integrazione, con un focus sul mondo IBM i oggi e il mondo IBM i che verrà.
Il mondo IBM i oggi
IBM i rappresenta una soluzione completa per la gestione di database, applicazioni e processi aziendali: è un sistema sicuro, perchè è nato come un sistema chiuso e stabile, ed è stato studiato per funzionare in modo continuo senza interruzioni.
La sicurezza di IBM i si basa su di un modello object-based: ogni risorsa (file, programma, libreria, ecc.) è un oggetto autonomo con propri controlli d’accesso. I permessi sono gestiti tramite profili utente e gruppi che definiscono privilegi, restrizioni granulari e grazie all’architettura integrata si evitano molte delle vulnerabilità tipiche di ambienti disaccoppiati. Un pilastro della sicurezza è il journaling: IBM i permette di tenere il journal: una sorta di diario elettronico che registra tutte le modifiche fatte ai dati in un sistema, sia a livello di database (per velocizzare backup e restore) sia a livello di sicurezza.
La piattaforma IBM i supporta diversi linguaggi per la logica di business e offre un ambiente flessibile per l’evoluzione applicativa. Oggi molte aziende modernizzano gli ERP in ottica di servizi e API, integrando tecnologie come IoT e AI tramite microservizi su IBM i. Questo approccio migliora l’integrazione con sistemi esterni e consente di innovare senza rinunciare alla solidità delle soluzioni esistenti
In molte aziende, i sistemi informativi sono collegati in modo disordinato e poco strutturato. Questo limita la possibilità di intervenire sull’architettura, rallenta l’accesso ai dati e ostacola i percorsi di modernizzazione. Ogni cambiamento viene rimandato per timore di compromettere un equilibrio fragile. Il risultato è un’integrazione punto-a-punto che genera un groviglio di collegamenti: il classico “modello a spaghetti”. I problemi tipici sono:
- Collegamenti ad hoc e disordinati: ogni coppia di sistemi richiede un’integrazione dedicata e separata, senza un canale unico che faccia da regia. Ne risulta una rete caotica di connessioni dirette, difficile da documentare o standardizzare.
- Tecnologie eterogenee: le aziende moderne combinano diversi sistemi (soluzioni legacy, servizi cloud, ecc), ognuno di questi utilizza protocolli standard e formati dati diversi. Uniformare tali dati e orchestrare i processi diventa un’operazione complessa e laboriosa.
- Complessità e costi elevati: man mano che crescono i sistemi aumentano i tempi di sviluppo e le difficoltà di manutenzione. Gestire molteplici integrazioni punto-a-punto si traduce in sforzi crescenti e costi superiori.
- Governance debole: in un’infrastruttura a spaghetti è praticamente impossibile avere una visione centrale delle informazioni e delle regole di processo. Mancando un punto di controllo unico, non esiste un monitoraggio globale dei flussi dati. Di conseguenza è facile che errori di sincronizzazione, duplicazioni o violazioni di policy sfuggano al controllo, aumentando i rischi operativi e normativi. Senza una governance solida, ogni piccolo cambiamento in un sistema può produrre effetti imprevisti anche su aree non immediatamente collegate.
Il mondo IBM i domani
In contrapposizione al modello a spaghetti, molte aziende stanno adottando un paradigma più ordinato e scalabile: l’integrazione basata su un Data Layer, ossia un hub per tutte le informazioni aziendali. In questo approccio, i sistemi aziendali non si collegano direttamente tra loro, ma scrivono e leggono i dati da uno strato centrale che funge da punto unico di informazioni. Ogni applicazione aggiorna i propri dati nel data layer e, allo stesso tempo, accede a ciò che le serve da lì, invece di interrogare altri sistemi in modo diretto.
Questo cambiamento rappresenta una vera e propria evoluzione culturale e tecnologica nel modo in cui le aziende trattano l'integrazione: non più una rete disordinata di scambi “uno a uno”, ma un ecosistema ordinato, in cui le informazioni vengono rese disponibili in modo standardizzato, controllato e riutilizzabile.
I vantaggi di questo modello:
- Disaccoppiamento tra sistemi: ogni applicazione è indipendente dalle altre. Se un sistema cambia, non è necessario intervenire su tutte le connessioni esistenti: basta garantire che continui a dialogare correttamente con il data layer.
- Riduzione della complessità: invece di decine di integrazioni punto-a-punto da mantenere, c’è un solo canale di comunicazione per ciascun sistema – quello verso il data layer. Questo rende l’intera architettura più semplice, più ordinata e più facile da governare.
- Governance e controllo: il data layer diventa il punto centrale in cui applicare regole di qualità, sicurezza, tracciabilità e gestione del dato. È molto più semplice sapere dove stanno i dati, chi li ha modificati, come sono stati usati.
- Scalabilità e agilità: quando un nuovo sistema entra in gioco, non bisogna riconfigurare gli altri: basta che si colleghi al data layer. Questo consente all’azienda di crescere, innovare e integrare nuove soluzioni più rapidamente.
- Standardizzazione e riuso: i dati sono esposti in formato uniforme. Non servono più adattamenti specifici per ogni interfaccia: ciò che vale per un sistema può valere per tutti.
Oltre il Data layer: perchè le API sono la chiave dell’interoperabilità
Per realizzare un’integrazione moderna ed efficiente, il data layer da solo non basta: serve un modo strutturato e sicuro per mettere a disposizione i dati e organizzare gli scambi tra i sistemi. È qui che entrano in gioco le API (Application Programming Interface). Le API rappresentano l’interfaccia standard attraverso cui i sistemi aziendali leggono o scrivono nel data layer. In altre parole, se il data layer è la “memoria condivisa” dell’ecosistema IT, le API sono il “linguaggio comune” con cui i diversi attori interagiscono con essa.
Questo abbinamento offre una serie di vantaggi concreti:
- Accesso controllato e sicuro ai dati: le API permettono di definire esattamente chi può vedere cosa, come, e con quale frequenza.
- Separazione tra dati e logica applicativa: ogni sistema può concentrarsi sulla propria funzionalità, senza preoccuparsi di come reperire o inviare i dati agli altri.
- Flessibilità e riuso: una singola API può essere utilizzata da più sistemi, applicazioni, portali o partner, senza duplicare sforzi o logiche.
- Monitoraggio e governance: tramite API gateway e strumenti di management, è possibile tracciare gli accessi, rilevare anomalie e applicare regole centralizzate.
Il loro valore risiede nella capacità di rendere disponibili le informazioni giuste, nel momento giusto, a chi ne ha bisogno.
Grazie alle API, i vari sistemi aziendali possono recuperare dati in modo selettivo e mirato: è possibile ottenere una singola informazione specifica – come lo stato di un ordine o il profilo di un cliente – oppure richiamare un insieme più ampio di dati coerenti tra loro. Questo approccio evita sovraccarichi inutili, migliora le performance e garantisce che ogni applicazione lavori solo con ciò che le serve davvero.
In sintesi, le API semplificano l’accesso ai dati e ne aumentano il valore, permettendo all’azienda di costruire processi più agili, integrati e controllabili.
Le API, ad esempio, rendono possibile collegare il gestionale AS/400 a piattaforme di e-commerce, CRM, servizi cloud o app mobile. Un’azienda retail può collegare il gestionale IBM i alla propria piattaforma e-commerce per gestire gli ordini online. Grazie alle API REST, ogni nuovo ordine sul sito verrà inserito automaticamente nel gestionale (e viceversa, in quanto lo stock si aggiorna in tempo reale).
Sistemi di Versioning
Tuttavia, per far funzionare davvero queste interazioni serve un sistema di versioning: un metodo per tracciare ogni modifica alle API, al codice o ai dati, garantendo ordine e prevedibilità. Senza un controllo delle versioni, ogni cambiamento può causare confusione o errori – per esempio, se un componente venisse aggiornato all’improvviso potrebbe bloccare gli altri sistemi. Su IBM i esistono soluzioni specifiche come ARCAD Software, pensate proprio per il versioning. ARCAD permette di gestire tutte le versioni del software e delle API in ambiente IBM i come se fosse un diario: ogni modifica viene registrata, annotata e condivisa in modo sicuro.
Inoltre, grazie all’integrazione con Git – la piattaforma di version control più diffusa – ARCAD consente di combinare la solidità di IBM i con i moderni flussi di lavoro collaborativi. Così i team di sviluppo possono lavorare in parallelo su nuove funzionalità, ripristinare rapidamente le versioni precedenti in caso di problemi e mantenere il controllo su ogni rilascio.
Questo approccio diventa ancora più strategico con l’introduzione dell’Intelligenza Artificiale nell’equazione. Gli strumenti basati su AI, come chatbot intelligenti o modelli predittivi, funzionano al meglio quando possono accedere a dati puliti, aggiornati e affidabili. Le API organizzate e “versionate” offrono alle soluzioni di AI un canale sicuro per interrogare il sistema informativo: ad esempio, un’applicazione AI che analizza lo stato degli ordini o il comportamento dei clienti può attingere direttamente dalle API aziendali, sapendo di trovare dati coerenti e aggiornati. Non si tratta di sostituire ciò che già funziona, ma di valorizzarlo: ad esempio, un assistente virtuale può interrogare il sistema per conoscere lo stato di un ordine, controllare le giacenze in magazzino o analizzare il comportamento storico di un cliente. Tutto questo senza compromettere le logiche esistenti.
Si immagini un sistema che ogni mattina analizza i dati transazionali e segnala in automatico le anomalie, o che suggerisce promozioni personalizzate basandosi sulle abitudini degli utenti. È possibile anche con una base IBM i, se i dati sono accessibili via API e il versioning assicura coerenza e controllo. In pratica, API e versioning preparano il terreno per l’innovazione: le aziende possono sperimentare con l’AI lasciando agli algoritmi il compito di elaborare insight e opportunità, mentre la piattaforma dati resta stabile e sotto controllo.
In sintesi, alle API serve un solido sistema di versioning per operare efficacemente. In ambito IBM i possiamo contare su soluzioni come ARCAD Software e strumenti come Git, per rendere il processo ordinato e collaborativo. L’AI non è (più) una promessa futuristica: è un acceleratore reale, oggi. E anche chi lavora su piattaforme storiche può esserne protagonista. Basta mettere in comunicazione i mondi giusti: API, versioning, IBM i, Git e intelligenza artificiale non sono realtà separate, ma elementi di un unico ecosistema pronto a generare valore. Non è questione di sostituire la tecnologia che abbiamo, ma di farla evolvere.
Conclusioni
Oggi molte aziende possono far dialogare passo dopo passo i sistemi storici (come l’IBM i/AS400) con le tecnologie moderne, come il cloud, le API e i microservizi. Così facendo si valorizzano gli investimenti del passato e si favorisce l’innovazione senza stravolgere l’infrastruttura esistente. È un percorso graduale e sostenibile: ogni piccolo passo verso il nuovo porta valore e crea opportunità di crescita. In definitiva, vecchio e nuovo possono convivere armoniosamente, rendendo l’evoluzione digitale accessibile a tutti. In questo modo si valorizza la storia di ogni realtà, guardando al futuro con fiducia.
Autori
Victor Scolari, Junior Software Developer Var Group e Lorenzo Barchi, Junior Software Developer Var Group